Introduzione
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Siamo dinanzi alle protagoniste di questa Mostra: le sculture.
Sono giunte a noi in migliaia di frammenti, ma molti ancora ne mancano, forse distrutti, forse dispersi. Visi, braccia, busti. Corpi fratturati, smembrati, scomposti: così ci sono apparse nel rinvenimento.
A riportare in vita le statue è un atto d’amore: il restauro ha saputo dare ai frammenti l’opportunità di ricongiungersi, tornando ad essere individui. E di riacquistare la propria potenza simbolica.
Sono così riuscite a riprendere una postura eretta e a ricomporre la propria fisionomia, benché parzialmente mutilata. Nessuna statua infatti appare totalmente ricostruibile.
Sono ricomparse diverse figure umane: arcieri, guerrieri, pugilatori. Dopo averle aiutate a risollevarsi, ora dobbiamo aiutarle a comunicare.
Non sarà impresa semplice. Ci manca, anche solo per nominarle e descriverle, l’universo linguistico che risuonava intorno a loro.
Proveremo comunque a parlare, in vece loro. Traducendole, nell’intento di non tradirle.

Mont’e Prama e le altre sepolture nuragiche tra la fine dell’Età del Bronzo e l’Età del Ferro
Le sculture di Mont’e Prama sono state rinvenute all’interno di uno strato di terreno che copriva un’area funeraria di particolare interesse.
Si tratta di una necropoli costituita da tombe singole, alcune delle quali a pozzetto circolare coperto da una lastra. I defunti erano collocati all’interno del pozzetto rannicchiati, in posizione quasi seduta. Quasi tutte le tombe erano prive di corredo.
Le tombe erano disposte in successione lineare, all’interno di uno spazio delimitato da due lastre verticali.
L’inumazione singola in pozzetto sembra affermarsi tra la fine dell’Età del Bronzo e l’Età del Ferro.
Si tratta di una variazione di rituale significativa rispetto alla pratica funeraria delle sepolture collettive all’interno delle “tombe dei giganti”, tipica nel mondo nuragico dell’Età del Bronzo.
E questo mondo nuragico sembrano guardare gli occhi magnetici delle statue: il mondo della Sardegna a loro contemporanea, già, ormai, archeologico, già, ormai, segnato di elementi che appartengono al passato, nel tentativo di tradurre quella visione in memoria di cui esse stesse furono e sono tutt’ora segno.

Siamo dinanzi alle protagoniste di questa Mostra: le sculture.
Sono giunte a noi in migliaia di frammenti, ma molti ancora ne mancano, forse distrutti, forse dispersi. Visi, braccia, busti. Corpi fratturati, smembrati, scomposti: così ci sono apparse nel rinvenimento.
A riportare in vita le statue è un atto d’amore: il restauro ha saputo dare ai frammenti l’opportunità di ricongiungersi, tornando ad essere individui. E di riacquistare la propria potenza simbolica.
Sono così riuscite a riprendere una postura eretta e a ricomporre la propria fisionomia, benché parzialmente mutilata. Nessuna statua infatti appare totalmente ricostruibile.
Sono ricomparse diverse figure umane: arcieri, guerrieri, pugilatori. Dopo averle aiutate a risollevarsi, ora dobbiamo aiutarle a comunicare.
Non sarà impresa semplice. Ci manca, anche solo per nominarle e descriverle, l’universo linguistico che risuonava intorno a loro.
Proveremo comunque a parlare, in vece loro. Traducendole, nell’intento di non tradirle.
