Contesto storico

Il complesso scultoreo di Mont’e Prama non è stato realizzato da un’unica squadra di artigiani in un breve arco di tempo. Probabilmente, diverse maestranze hanno lavorato a quest’opera imponente.

Chi ha realizzato Mont’e Prama?
Il dibattito scientifico è ancora molto vivace.

Possiamo trovare qualche risposta imparando qualcosa sulle genti che hanno abitato l’isola
nel lungo periodo che va dalla fine dell’età del bronzo all’età del ferro.

E naturalmente non possiamo prescindere dalla civiltà nuragica.

Età del bronzo: la civiltà nuragica

Verso il 1700 avanti Cristo, nell’età del bronzo medio, iniziano le prime testimonianze della civiltà nuragica, che prende il nome dai nuraghi, imponenti monumenti di pietra in opera a secco. I nuraghi più evoluti hanno forma di torri troncoconiche a base circolare e contengono una o più camere coperte da una falsa cupola o tholos. Queste torri di pietra potevano essere singole oppure aggregate a una torre principale in numero di due, tre, quattro o più, componendo quello che viene definito nuraghe complesso bilobato, trilobato, quadrilobato. Le torri nuragiche, sia singole che complesse, potevano ergersi isolate oppure circondate da un villaggio.

Quale fosse la precisa funzione dei nuraghi è ancora argomento di discussione tra gli studiosi, ma è probabile che tutti, in vario modo e misura, fossero edifici polifunzionali: torri a guardia di percorsi, campi, pascoli e corsi d’acqua, concretamente utilizzate per concentrare, lavorare, conservare e proteggere derrate alimentari, materie prime e prodotti finiti d’ogni genere; torri intese anche come visibili e potentissimi simboli di possesso ed emblemi di capacità organizzativa nella competizione tra le comunità. I nuraghi contrassegnavano il territorio della comunità in cui si ergevano, come punti di controllo, sistemi di comunicazione visiva, di delimitazione spaziale, di gestione delle risorse, di abitazione e di difesa. Attorno al nuraghe, in numerosi casi, si estendeva il villaggio formato da capanne circolari isolate o da vere e proprie case complesse. Le capanne dei villaggi erano costituite da muri in pietra o in mattoni crudi con coperture in materiale vegetale.

Altro elemento caratteristico del periodo nuragico sono le sepolture, le cosiddette “tombe dei giganti”, così chiamate per le dimensioni imponenti. Si tratta di tombe collettive, composte da una cella funeraria stretta, bassa e allungata e sopra terra con blocchi di pietra di grandi dimensioni. Sulla facciata del monumento sono presenti due fila di pietre disposte come braccia arcuate che formano uno spazio rituale semicircolare, la cosiddetta esedra. Le tombe potevano essere realizzate con lastre verticali disposte a coltello, oppure col sistema a muratura.
Il primo tipo, detto a ortostati, era caratterizzato dalla presenza al centro dell’esedra di un’alta lastra decorativo-simbolica con alla base il portello d’ingresso, la cosiddetta stele centinata (cioè a sommità arcuata); la camera interna risultava coperta con un sistema a lastre orizzontali (piattabanda).
Come detto, queste erano tombe collettive, in cui venivano deposti i defunti delle comunità in apparenti condizioni di totale uguaglianza. Spesso alle “tombe dei giganti” erano associati betili che simboleggiavano la presenza della divinità.

La tomba del gigante di Li Lolghi, Arzachena.
La tholos, crollata nella sommità, del nuraghe Toscono a Borore.

Per ciò che riguarda la sfera del culto, gli edifici sacri realizzati nel periodo nuragico sono di tre tipi: i templi a pozzo, le fonti sacre e i templi a “mègaron”. I templi a pozzo erano legati al culto delle acque, con una camera costruita sotto terra (ipogea) e copertura a tholos. Anche le fonti sacre svolgevano analoga funzione, ma captavano l’acqua in superficie. Tanto i pozzi sacri quanto le fonti avevano strutture costruite sopra terra con copertura a doppio spiovente. Infine i cosiddetti templi a mègaron hanno pianta rettangolare con una o più camere e sono circondati da un recinto, detto tèmenos.

I nuragici vivevano di agricoltura e allevamento e praticavano la metallurgia del bronzo, tenevano stretti contatti con le popolazioni coeve del Mediterraneo occidentale e orientale.
Verso il 1200 avanti Cristo, i nuraghi non vengono più costruiti; quelli esistenti restano in uso oppure vengono abbandonati o smantellati, mentre nei villaggi la vita prosegue e si intensifica. Anche le “tombe dei giganti” non sono più costruite, ma quelle esistenti continuano ad essere utilizzate.

Età del ferro: l’ultimo periodo della civiltà nuragica e i contatti coi naviganti orientali

Il passaggio dal bronzo finale alla prima età del ferro (tra il dodicesimo e il nono secolo avanti Cristo) è caratterizzato da profondi mutamenti: cambiano le produzioni ceramiche e l’assetto dei villaggi e dei santuari, si incrementa la produzione dei manufatti bronzei.
Questo è il periodo di massima fioritura della civiltà nuragica più avanzata, ormai profondamente trasformata dai lontani tempi in cui si costruivano i monumenti ciclopici. Si registra, inoltre, la presenza sempre più costante di vari reperti definiti esotici o di pregio di fattura orientale e tirrenica.
I naviganti provenienti dall’Egeo e dal vicino Oriente intrattenevano da tempo scambi commerciali e culturali con le genti dell’isola. Le interazioni culturali, che ne derivarono, producono forti cambiamenti, probabilmente anche negli usi e nei costumi delle popolazioni con cui vengono a contatto. Questo produce il configurarsi di una nuova società. Oltre agli empori commerciali, nascono i primi insediamenti stabili.

I fenici sono una popolazione semitica che occupa le coste del Libano sin dal terzo millennio avanti Cristo e che svolge intense attività commerciali e marittime. Con l’arrivo dei fenici in Sardegna, il mondo nuragico ormai giunto quasi al tramonto entra in contatto diretto con il modello urbano da tempo affermatosi nel bacino del Mediterraneo. La presenza fenicia in Sardegna si attesta tra il nono e il settimo secolo avanti Cristo e avviene differentemente all’interno del territorio e con tempi diversi tra i vari siti, fino all’arrivo dei cartaginesi (i fenici di Cartagine) che, nel sesto secolo avanti Cristo, conquistano in parte l’isola.

Ricostruzione del tofet di Tharros, Museo civico Giovanni Marongiu.