Il sito archeologico di Tharros continua a confermarsi non soltanto un luogo di straordinario valore storico, ma anche uno spazio vivo, in dialogo con la ricerca contemporanea e aperto all’innovazione metodologica.

Recentemente, la Fondazione Mont’e Prama ha preso parte a un’importante collaborazione internazionale insieme alla UCL – University College London la University of Cincinnati e la University of Massachussets Amfer, nell’ambito del progetto TETRARCHs (Transforming Data Reuse in Archaeology), guidato dalla ricercatrice Sara Perry.

L’obiettivo del progetto è quello di ripensare il modo in cui i dati archeologici vengono prodotti, registrati e trasmessi. In particolare, TETRARCHs propone una critica puntuale alle pratiche “archeonormative” che ancora oggi caratterizzano gran parte del lavoro archeologico, soprattutto nei contesti accademici e istituzionali del cosiddetto Nord globale. Si tratta di un insieme di abitudini consolidate che tendono a standardizzare la documentazione, rendendola tecnicizzata, impersonale e spesso poco accessibile, sia per gli specialisti che per le comunità coinvolte nei progetti di scavo. 

Secondo quanto riportato nel paper pubblicato sul Journal of Field Archaeology dal team di ricerca, queste modalità operative rischiano di svuotare l’archeologia della sua dimensione più umana, fatta di emozioni, di relazioni, di soggettività. A Tharros, il gruppo di ricerca ha voluto mettere in discussione proprio queste convenzioni, sperimentando nuove modalità narrative per dare voce a chi l’archeologia la vive ogni giorno: ricercatori, operatori, ma anche il paesaggio, gli oggetti, i suoni e le atmosfere del sito.

Durante le giornate di lavoro, è stata data particolare attenzione al modo in cui le persone interagiscono con i reperti, con i luoghi e tra loro. Alcuni oggetti rinvenuti sono stati accompagnati da etichette descrittive più libere, talvolta immaginifiche, pensate per stimolare riflessioni personali.

Brevi clip audio registrate sul campo hanno cercato di catturare l’ambiente sonoro dello scavo, restituendo anche quegli aspetti sensoriali che solitamente vengono trascurati.

Le fotografie scattate durante le attività sono state caricate su una piattaforma condivisa, arricchite da tag emotivi o riflessivi, capaci di raccontare esperienze di fatica, cura, scoperta o condivisione.

Queste sperimentazioni, pur nella loro apparente semplicità, hanno messo in luce le difficoltà che ancora oggi ostacolano l’integrazione di pratiche creative e narrative all’interno del flusso di lavoro tradizionale.

Eppure, come sottolineano gli stessi ricercatori, per trasformare davvero la produzione di dati in archeologia è necessario ripensare radicalmente i presupposti culturali su cui essa si fonda. Bisogna creare spazi – fisici, mentali e digitali – in cui possano trovare posto la sperimentazione, il gioco, la narrazione.

Dall’esperienza condotta a Tharros è emerso che è possibile un’archeologia più narrativa, relazionale e plurale.

Per la Fondazione Mont’e Prama, partecipare a questo progetto ha rappresentato un’occasione preziosa per contribuire attivamente al dibattito internazionale sul futuro dell’archeologia e, al contempo, per riaffermare il valore del sito di Tharros come luogo di ricerca, sperimentazione e apertura al mondo.